Online da Aprile 2006



Vivere Tokyo: il binomio della bella e la bestia

Quante volte ho invidiato chi viveva in Giappone e quante volte, ora che ci vivo io, mi sento dire che sono fortunata. E certamente lo sono.
Per chi ama questo paese è una costante il desiderio di rimanere qui per un periodo più o meno lungo e indeterminato. Ma il desiderio di una vita all’estero, si accompagna spesso a una buona dose di incoscienza e inconsapevolezza, conditio sine qua non per tutte le scelte importanti, che nascondono non poche difficoltà.
A volte penso che per quanto si cerchi di integrarsi, di essere parte invisibile e partecipe di questa realtà, la percezione della diversità non troverà mai un punto fermo.
È un’evidenza innegabile, con cui mi scontro (quasi) ogni giorno. Ci sarà sempre qualcuno che ti guarderà incuriosito dall’altra parte del treno, per il solo fatto di avere un taglio d’occhi diverso e a volte diventerà complicato fare anche le cose più semplici (avere una carta di credito, per esempio, o prendere un appartamento in affitto).
Naturalmente le eccezioni, i compromessi e la fiducia ci sono e alleggeriscono una realtà che, per quanto meravigliosa e stimolante sotto ogni aspetto, potrebbe rivelarsi a volte difficile.
D’altro canto, il perché sono gaikokujin (straniera), diventa esso stesso il mio scudo al troppo, quel troppo che il mio giapponese, la mia cultura d’origine non riescono a controllare. Sono straniera, quindi non so, non comprendo.
La mia diversità diventa la scusante ai miei limiti, a tutto ciò che ignoro e di cui ho ancora tantissimo da imparare.


Eppure Tokyo è grande e molteplice. Senza che tu te ne accorga, ti squaderna davanti milioni di alternative possibili. È un’onda che si increspa e poi si infrange.
Ti investe, letteralmente, e spetta solo a te stare a galla. Ci sono momenti in cui tutto potrebbe sembrare troppo, di quel troppo che si fa fatica a sostenerlo.
Allora senti di dover scappare. Senti il bisogno di rifugiarti in un luogo tranquillo, che in una città come questa può essere solo casa tua.
Fuggi dalla città, dalle persone, dalle e-mail e dalle lettere che impazzano nella mailbox, dai numeri sconosciuti, che puntualmente e soprattutto all’inizio (quando la tua permanenza qui è tutta in divenire), ti chiamano senza sosta.
Si chiamano cambiamenti radicali e sono il compromesso che hai accettato per venire e restare.
Ma del resto, ogni grande amore che si rispetti ne ha almeno un paio.
In pochi mesi sono tante le cose fatte. Tutto quello che serve per vivere e, certamente, per vivere qui: dal conto in banca, al fondo pensionistico; dalla casa, all’assicurazione sanitaria. Cose d’ordinaria amministrazione, certo, se non fosse che le devi fare in una lingua non tua, che conosci ma mai abbastanza.
Gioia smisurata e turbamento si combinano costantemente, in un binomio che puntualmente mi restituisce la consapevolezza della realtà in cui ho scelto di vivere: bella, ma complessa; varia, ma talvolta smisurata e incontenibile.
La bella e la bestia insieme.
In questa girandola di emozioni contrastanti, ci sono loro: i giapponesi, che ti tendono una mano e ti spiegano. Essi sono la chiave d’accesso al loro mondo.
Passata la prima volta, quella che sembra impossibile, il resto viene da sé.

 

Ora che mi trovo qui, mi unisco al coro di quanti (prima di me) hanno sostenuto l’imprescindibile conoscenza della lingua per poter vivere in Giappone.
Questo paese mi dimostra giorno dopo giorno, in quasi tutti i contesti (dalle cliniche mediche, agli uffici pubblici), di essere attrezzato e ben disposto ad agevolare gli stranieri che non parlano il giapponese. I form, le indicazioni, i numeri verde, le pagine online in inglese sono praticamente ovunque. Eppure, personalmente sento che non sarebbe sufficiente.
Vivere qui sarebbe per me impensabile, oltre che frustrante, se non sapessi esprimere nemmeno i concetti base. E in ogni caso, sarebbe come un viverci a metà.
Vivere Tokyo da studente o turista non è come viverla da abitante e lavoratore. Questa è una delle cose che dico sempre a quanti mi chiedono come mi trovi qui.
L’unica differenza tra la prima e la seconda esperienza, è che quest’ultima ti permette di calarti maggiormente in questa realtà, di coglierne tanto il bello, quanto il cattivo tempo e, quindi, di apprezzare questa città realmente, per quella che è nella sua totalità.
È probabilmente scontato, ma bisogna sempre approcciarsi alle cose con la dovuta obbiettività e il giusto peso. Le difficoltà ci sono, su tutti i fronti, ma la forza propulsiva dell’interesse, alimentata dalla curiosità e dal fascino, a loro volta sottesi da un amore sconfinato e incondizionato, resta senza dubbio la migliore delle vie praticabili.

Eleonora Blundo


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