Intervista a Marco Milone
• Gentile Marco, per cominciare, potresti presentarti brevemente ai nostri lettori?
Mi occupo di produzione cinematografica (Revengeance, La mafia non è più quella di una volta), ho tenuto seminari e laboratori al Conservatorio Bellini, all’Università degli Studi di Palermo e in vari festival, sia come critico cinematografico che come iamatologo.
Inoltre mi interesso di management dell’innovazione: sono direttore amministrativo della piattaforma The Nemesis, e membro del consiglio di amministrazione di Freedom Waves e di Undo Studios.
• Abbiamo letto con piacere il tuo volume “Per un’introduzione sugli Emaki” edito da Mimesis Edizioni. Sicuramente un argomento non “mainstream” come magari potrebbe essere il mondo dei manga o dell’animazione. Come è nata questa idea?
L'idea è nata dal cercare di capire in che cosa si differenziasse l'arte giapponese da quella occidentale: ciò che mi ha sempre sorpreso è stato che la tendenza del giapponismo fosse nata con la diffusione dell'ukiyo-e, una forma d'arte considerata popolare, in contrasto con forme auliche e aristocratiche tant'è che alcuni artisti di ukiyo-e rinunciavano a incarichi di corte prima di dedicarsi alle stampe.
L'ukiyo-e, inoltre, nasce nel momento in cui gli emakimono perdono importanza, come se fossero una testimonianza artistica di passaggio o di transizione tra gli emaki e il manga. E quindi, ho voluto scavare fino alle origini di ciò che ha creato una cultura mainstream, pur non essendolo nel proprio contesto storico.
Quello che ne è emerso è stata un'opera d'arte che genera una linea narrativa anticipando il concetto che le storie vivono e comunicano in una veste trasversale. Dal manga al videogioco, ogni esperienza riporta alla primordiale necessità di vivere storie.
• Se dovessi presentare in poche parole gli Emaki a un completo neofita, su quali aspetti punteresti l’attenzione?
L’Emakimono è un’opera di narrativa illustrata e orizzontale, sviluppatasi tra l’undicesimo e il sedicesimo secolo in Giappone. Tipico di quel paese, l’emakimono unisce testo e immagini, ed è disegnato, dipinto o stampato su un rotolo orizzontale che constava di una lunga striscia di carta munita di un asse di legno o di avorio, di poco superiore alla larghezza della striscia.
In senso stretto, la definizione generale di emaki pone l'enfasi sulla narrazione, non contemplando dunque i rotoli contenenti scene continuative di paesaggi come quelle eseguite in inchiostro monocrome durante il periodo Muromachi (1392-1573), i rotoli puramente decorativi tipici dei periodi successivi o ancora i rotoli del periodo Edo (1603-1867) raffiguranti scene del quartiere di Yoshiwara o dei teatri di Kabuki, tutte tematiche che verranno assimilate sostanzialmente nelle ukiyo-e.
• Qual è stato l’aspetto più difficile nella realizzazione del volume? Quanto tempo ha richiesto la sua realizzazione?
L'aspetto più difficile è stato la ricerca del materiale da studiare. Soprattutto, non essendoci monografie sull'argomento, ho deciso innanzitutto di fare una catalogazione degli emaki per poterli comparare meglio storicamente, ma non è stato sempre facile accedere ai rotoli, o a loro riproduzioni digitali.
Ho raccolto tutto il materiale digitale sulla pagina facebook emakimono.
• Quale invece l’aspetto più interessante nella sua progettazione/realizzazione?
L'aspetto più interessante è stato lo studio in sé di alcuni aspetti storico-culturali della società giapponese, ma pure ricercare delle connessioni tra gli emaki e i manga, che ritengo discendano nella loro forma primitiva dal “Choju jinbutsu giga”, e non dalla bizzara raccolte di disegni “Hokusai manga”, come invece si è soliti narrare.
Per me, che sono un avido lettore di fumetti, è stato interessante studiare come un popolo, per il quale il fumetto riveste una forte importanza mainstream, avesse già anticamente adottato la storia illustrata attraverso stilemi artistici più tipici della cultura aristocratica.
• Come e quando nasce la tua passione per il Giappone?
Il mio interesse per il sol levante nasce inizialmente da bambino, probabilmente influenzato come tutti dall'invasione degli anime. Però, è riemerso solo anni dopo attraverso uno strano percorso: quando, infatti, giocavo a scacchi, mi sono incominciato a interessare ad altri giochi astratti, ma pure alla storia degli scacchi; ho così scoperto lo shogi (scacchi giapponesi) e il go.
La passione per lo shogi, che mi avrebbe poi portato a giocare due volte nella Yingde Cup in rappresentanza dell'Italia, ha reso necessario lo studio della lingua giapponese per potere accedere alla fiorente letteratura shogistica. E quando ho scoperto che anticamente i sacerdoti scintoisti erano responsabili dell'organizzazione dei tornei di shogi e di go, il passaggio è stato immediato nel volerne studiare la mitologia, spaziando poi attraverso uno studio della cultura giapponese classica.
• Un libro che hai letto di recente e che ti è piaciuto particolarmente?
“Big in Japan” di Tuono Pettinato e Dario Moccia, “Viaggio a Tokyo” di Vincenzo Filosa, “I quaderni giapponesi” e “Kokoro” di Igort sono libri che ho apprezzato, tutti accomunati da una forte passione per il Giappone, e dalla cornice del viaggio per raccontare i retroscena culturali del paese. La dimensione intimista rende le loro narrazioni prive di filtri, lasciando emerge la voglia di raccontare attraverso un’esplosione sensoriale che evoca momenti vissuti e non vissuti, a cavallo fra esperienza e immaginazione.
• Ed invece un film, anche di animazione, che ti ha colpito?
Kihachiro Kawamoto è un animatore e regista che mi piace per la sua abilità di fondere la tradizione e la cultura del suo paese con la struttura tipica del realismo europeo a consacrarlo un maestro del cinema d’animazione giapponese.
Nel 2003 è stato responsabile della supervisione del progetto “Giorni d’inverno” (Fuyu no Hi), in cui trentacinque dei migliori animatori del mondo (tra cui Yuri Norstein, Alexandre Petrov e Koji Yamamura) hanno lavorato ciascuno su un segmento di due minuti ispirato ai distici renka del celebre poeta haiku Matsuo Basho. Utilizzando l’antica pratica della “poesia a catena” (renga), Kawamoto chiese a ogni regista di aggiungere una breve animazione come “stanza poetica”, proprio partendo dai versi di Basho.
• Infine un piccolo sguardo ai tuoi futuri progetti editoriali e professionali.
Per quanto concerne i progetti editoriali, ho in pubblicazione un saggio sull'evoluzione e l'origine simbolica del gioco del go, e sto scrivendo un manuale introduttivo sullo scintoismo.
Di recente ho co-prodotto la docu-serie crime Italica Noir, rilasciata la scorsa primavera da Infinity, e sto lavorando alla realizzazione di un documentario sul tai chi.
A fine mese terrò una conferenza a Vancouver sulla scuola neopittorica nel cinema d'animazione italiano, e ho altri progetti ancora che mi aspettano.
a cura di Giuseppe Ferro (Settembre 2020)