Intervista a Maria Roberta Novielli
• Gentile professoressa Novielli, innanzitutto La ringraziamo per questa intervista. Potrebbe presentarsi brevemente ai nostri lettori?
Mi occupo di media asiatici, in particolare giapponesi. Nello specifico della cultura nipponica a Ca’ Foscari insegno, rispettivamente, storia del cinema, storia del cinema d’animazione e “letteratura e cinema”, ma ho anche un corso di Sociologia dei processi culturali in Asia Orientale per cui curo allo stesso tempo una certa varietà di media (oltre al cinema e alla letteratura, anche pubblicità, clip musicali, giardini, sport…) nel più ampio ambito asiatico.
Da quattro anni organizzo e dirigo il Ca’ Foscari Short Film festival. Sono anche la curatrice del sito Asiamedia e curo due collane editoriali: Schermi Orientali (per i tipi di Cafoscarina) e Contemporary Japan (con Rosa Caroli, per le Edizioni Ca’ Foscari). Scrivo diffusamente per riviste e volumi e occasionalmente organizzo retrospettive e speciali su registi giapponesi per vari festival.
• Partiamo da lontano. Quando e com’è cominciata la sua passione per la cultura e il cinema del Giappone?
Mi sono laureata in Lingue e Letterature Orientali a Ca’ Foscari con una tesi su “Ecco l’impero dei sensi” di Oshima Nagisa, il mio interesse parte da lì. Pochi mesi prima della laurea, inoltre, ho vinto un premio ex-aequo indetto dal Festival di Montecatini come esordiente critico cinematografico proprio con un saggio su Oshima; in quell’occasione lui era presente e l’ho incontrato per la prima volta, il mio legame con il Giappone è da quel momento indissolubile.
• E’ mai stata in Giappone? Avrebbe qualche ricordo interessante o curioso da raccontarci?
Sono stata in Giappone tantissime volte. Il periodo più lungo è stato dal ’91 al ’94, durante il quale ho conseguito una specializzazione in cinema presso la Nihon Daigaku. In quel periodo in particolare ho vissuto un numero incredibile di esperienze, tutte straordinarie, sarebbe difficile selezionarne solo una.
• In questi anni molte sono state le sue pubblicazioni su registi giapponesi. A quale di questi libri è particolarmente legata e perché?
Naturalmente a tutte, ma forse in particolare al mio libro “Metamorfosi – Schegge di violenza nel nuovo cinema giapponese”. E’ nato come esperimento: piuttosto che scrivere sul cinema giapponese dalla prospettiva storica, ho sbirciato in siti e blog europei le preferenze del pubblico e la percezione della cultura nipponica che ne traeva, quindi ho scritto sui film citati cercando di dare risposte o fare ordine rispetto ai tanti luoghi comuni che circolavano. Ovviamente non so se ci sono riuscita o meno, ma quel tipo di approccio, e soprattutto la scelta di parlare di cinema da una prospettiva sociologica, mi ha fatto comprendere molte cose della nostra cultura. Per esempio, ho compreso che l’etichetta di “cinema violento” è legata alle scelte dei nostri spettatori, visto che erano proprio i film dalle tinte più forti quelli di maggiore successo in Europa.
• Il suo “Storia del cinema giapponese” continua ad essere ristampato e rappresenta una guida imprescindibile per chiunque voglia addentrarsi in questa cinematografia. Ha in mente di pubblicare un ampliamento per quanto riguarda i registi moderni, che nel volume hanno uno spazio ridotto?
In qualche modo, “Metamorfosi” è nato proprio come un ampliamento di “Storia del cinema Giapponese”, visto che copre il periodo 1995-2010.
• Quali sono a suo parere i registi giapponesi moderni che stanno lasciando un segno nel panorama cinematografico?
Sono tantissimi, dai “classici” Tsukamoto Shin’ya, Miike Takashi, Kurosawa Kiyoshi e Sono Shion, ai geni dell’animazione come Kon Satoshi (purtroppo scomparso di recente), Shinkai Makoto e Yamamura Koji.
• Parliamo di Kawase Naomi, regista amatissima in Europa, a cui lei ha dedicato un libro. Quali sono i tratti distintivi di questa autrice e perché fatica ad essere amata anche nel nostro paese?
Il suo cinema è potenzialmente diaristico, intimo e poetico. Come dicevo a proposito della violenza, non ci aspetteremmo un approccio non voyeuristico e delicato al mondo, così come fa quest’autrice. Allo stesso tempo, i temi che affronta hanno radici radicate nella mitologia e nella terra più incontaminata del Giappone, aspetti spesso trascurati da chi predilige la cultura pop nipponica.
• Nel 2013-14 quali sono i titoli che l’hanno più colpita e come giudica lo stato di salute della cinematografia nipponica in questo momento?
Dal momento che sono reduce dalla Mostra del cinema, posso asserire con certezza che il film più interessante nipponico di quest’anno sia proprio "Nobi" di Tsukamoto.
Credo che il cinema giapponese (animazione inclusa) attraversi un momento molto difficile, non solo dal punto di vista produttivo (gli investimenti in ambito cinematografico sono particolarmente esigui), ma anche perché la recente ondata nazionalistica rende sempre più difficile puntare su progetti che rischiano di sollevare polemiche o di attirare poco pubblico.
Per questo trovo che "Nobi" sia un film di grande coraggio, oltre che un’opera eccezionale dal punto di vista artistico.
• I suoi progetti futuri, editoriali e professionali collegati all'universo giapponese?
Per l’inizio del 2015 è in uscita il mio nuovo volume, sempre per Marsilio, intitolato “Animerama – Storia del cinema d’animazione giapponese”.
E’ il risultato di tre anni di lavoro, sono davvero orgogliosa del risultato. Si tratta del solo cinema, non di animazioni televisive, poiché credo che parlare di entrambi in un unico contesto sia come affiancare il cinema alle serie TV, cosa che non ha senso né in termini di stile né di produzione. Per il resto, in questo momento sto programmando la quinta edizione del Ca’ Foscari Short Film Festival in cui è prevista una sorpresa legata al Giappone.
• Parliamo nello specifico di “Animerama – Storia del cinema d’animazione giapponese” com’e’ strutturato questo suo nuovo lavoro?
E’ una vera e propria storia del cinema di animazione. Si parte dal precinema, quindi dalla lanterna magica e dalle narrazioni illustrate itineranti, per arrivare fino a oggi (il libro giunge fino ad agosto 2014).
Non si tratta comunque di una mera elencazione di titoli in senso cronologico, ma ho tentato di indicare il perché dello sviluppo di alcuni generi, come si colloca l’opera di determinati autori nelle dinamiche delle rispettive epoche, e ovviamente a quali logiche di mercato si legano le singole produzioni. Inoltre, ho cercato di dedicare un ampio spazio alle animazioni sperimentali e alle produzioni indipendenti, di solito penalizzate e relegate a distribuzioni di nicchia. Confesso di avere avuto il vantaggio di conoscere personalmente molti registi, quindi vari spunti sono nati proprio da quanto discusso con loro.
• Qual è l’atteggiamento della critica nostrana nei confronti dell’animazione giapponese? E’ ancora difficile far “accettare” questo tipo di cinema come autoriale?
Si parla di cinema animato giapponese solo a partire dai successi dello Studio Ghibli; fino a quel momento, in Italia erano noti praticamente solo i titoli televisivi e intere generazioni sono cresciute familiarizzando con eroi e dinamiche proprie del piccolo schermo.
Il risultato, purtroppo, è che vengono oggi omologati i due ambiti e gran parte della letteratura sull’argomento amalgama indifferentemente serie televisive con pellicole concepite per le sale. Lo stesso Miyazaki viene considerato per l’opera generale, mentre andrebbero con chiarezza distinte le due sfere. Una svolta però ritengo sia in corso, visto che la maggior parte dei film animati sono ora disponibili nel web. Paradossalmente, avviene il contrario per il cinema dal vero giapponese: proprio grazie al successo di molte pellicole, ora molti italiani seguono nel web i terebi drama, cioè le serie televisive.
• In questo contesto qual è il film d’animazione nipponica che più l’ha ispirata e per quali motivi.
Ce ne sono molti, ma più che uno su tutti penserei a “Perfect Blue” di Kon Satoshi (di una complessità e perfezione narrativo-stilistica con pochi analoghi), ai “giochi” animati sperimentali del gruppo di Tezuka Osamu (per l’incessante esplorazione di nuovi linguaggi) e alle magie della forma di Yamamura Koji (uno degli autori che maggiormente rende palpabile l’immaginario).
• Se dovesse consigliare un film d’animazione (non Ghibli) a un non appassionato di cultura giapponese? Quale dei titoli e degli autori che ha preso in esame potrebbe essere considerato più “occidentale” (ci passi l’espressione).
In senso “occidentale”, direi più di tutti Kon Satoshi. Si spazia dal thriller (Perfect Blue) all’onirico (Paprika), passando per un sontuoso omaggio alla storia del cinema (Millennium Actress), fino al divertentissimo "Tokyo Godfather".
Se invece dovessi suggerire un autore poco conosciuto (ingiustamente), allora direi Morimoto Koji.
• Infine il suo rapporto con l’universo manga.
Mi interessa moltissimo, purtroppo non lo conosco quanto vorrei. Moltissime opere le ho recuperate per scrivere questo libro, dato che tante animazioni sono trasposizioni da manga. E’ un universo complesso, non ha nulla da invidiare alla letteratura di stampo classico.
a cura di Giuseppe Ferro (Ottobre 2014)