Online da Aprile 2006



Vivere Tokyo: origini di un amore consapevole

Prima di trasferirmi a Tokyo, mi è capitato di leggere molti articoli su questa città.
Alcuni un po’ meno veritieri e obiettivi di altri. Questo perché, come aveva già teorizzato Nakagawa Hisayasu nella sua “Introduzione alla cultura giapponese”, si tende spesso e impropriamente a spiegare una cultura attraverso la propria.
È infatti naturale considerare quest’ultima il metro di giudizio per tutte le altre.
Tuttavia, il rischio che ne consegue è che la cultura che ci è propria si trasformi in un prisma di idee preconcette e inesatte.
Il Giappone, come ogni altro paese con una propria identità culturale affermata e complessa, non può essere semplicemente tradotto e, forse, neppure interpretato.
La gente viene a Tokyo con la speranza di trovare la propria occasione. “Viene qui chi vuole farcela da sé, senza dover chiedere”, mi aveva detto anni fa una cara amica. Ma a Tokyo finisci comunque per affidarti al prossimo, in un modo o nell’altro, specialmente se sei straniero. Quando il fascino del diverso è direttamente proporzionale al gap culturale, ci sarà sempre qualcosa che avrai bisogno di “capire” e, quindi, di “chiedere”.
Qui la gentilezza è profusa ovunque e non parlo del cassiere che mi conta il resto prima di consegnarmelo, di quello che prende i soldi dal piattino (perché non è bene prenderli dalle mani).
Non mi riferisco nemmeno alla commessa che mi dà il benvenuto ogni volta che varco la soglia del negozio, né alla voce registrata della Keio line che mi ringrazia ogni mattina, sia all’andata che al ritorno, per aver utilizzato il servizio. No, non è la gentilezza di chi ogni giorno, con cura e impegno, adempie al proprio lavoro, bensì quella della vicina che bussa alla porta per darmi il benvenuto in città, con un sacchettino colmo di dolci e una buona dose di scuse per avermi, secondo lei, disturbato e sottratto del tempo prezioso.
È la gentilezza del vicino che, nonostante il diluvio universale, mi cede il passo sulle scale e ci manca poco pure l’ombrello. È gentile persino il riconoscimento della vecchina che, per averle ceduto il mio posto sulla metro, continua a chinarmi il capo in senso di gratitudine per tutto il tragitto, instancabilmente, fino al capolinea a Shibuya. Naturalmente l’eccezione c’è, come dappertutto nel mondo, e va contemplata.
La gentilezza giapponese non conosce barriere culturali, né tantomeno linguistiche. Se chiedi indicazioni, le persone si fanno in quattro per aiutarti e sono ben felici se, alla fine, riescono nell’intento.
Che sia l’inglese o il linguaggio dei segni, poco importa. Si riesce comunque ad essere gentili verso chi sa chiedere. Perché la chiave di tutto, poi, sta proprio lì: saper chiedere.
Uno degli stereotipi più noti sui giapponesi riguarda il rapporto difficoltoso con le lingue, specie l’inglese. Una realtà che, mi sembra, non è così lontana da noi italiani, con una sola differenza: alla consapevolezza di un limite, i giapponesi antepongono una grande volontà e impegno nel superarlo. E questo vale per qualsiasi campo, non solo quello linguistico.

 

Tokyo è una città smisurata e in continua evoluzione. Le distanze da un posto all’altro si misurano in minuti, più che in chilometri, e si ha spesso la sensazione che il tempo scorra più velocemente che altrove.
La frenesia le fa da padrone; gli incontri diventano casi fortuiti, voluti dal destino e per questo preziosi.
La notte si confonde con il giorno, e così le domeniche e i lunedì.
Eppure, in questa girandola di ciclicità, abitudini e frenesia, emerge a forza la necessità di un tempo per se stessi. Che sia un caffè allo Starbucks, una lettura veloce ai manga dei Book off, un giro tra i negozi del 109 di Shibuya, una sosta al parchetto sotto casa, da soli o in compagnia.
Ed è lì che ti accorgi di come, in fondo, i giapponesi siano capaci di apprezzare, forse più di altri, il valore del tempo che scorre.
Ecco che tra i tanti impegni lavorativi, spiccano colorati sullo schedule gli appuntamenti col partner, le gite fuori porta, le cene, le serate al karaoke con gli amici.
Momenti singoli che diventano occasioni d’oro per sfuggire alla routine e vanno per questo vissuti intensamente.
Tokyo ha davvero tanto da offrire, ma chi viene qui deve essere armato di una buona dose di umiltà e apertura mentale, tanto coraggio e determinazione, voglia di fare, scoprire e accettare ciò che non conosce.
Perché Tokyo è come un’onda da cavalcare e basta un niente per essere travolti dal suo impeto. Ma se si riesce a tenerle testa, allora sa ripagare di ogni cosa. Gli sforzi compiuti, le fatiche, le rinunce, le delusioni, le lacrime, la tenacia, la speranza … Tutto, poco per volta. Ed è lì che inizi ad amarla davvero, per quello che ti toglie e per quello che ti restituisce, giorno dopo giorno, con quel grado di consapevolezza che solo gli amori veri hanno.

Eleonora Blundo

 


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